LA CAPPELLA
La
lunga carriera del cardinale Branda Castiglioni (1350/60-1443), che lo
porta a percorrere tutta l’Europa in un momento di grande tensione
spirituale per la riforma della Chiesa, è caratterizzata da una
costante attenzione alla formazione del clero. Il collegio di
Sant’Agostino a Pavia è fondato nel 1429 per istruire i giovani ad una
sana dottrina, educarli alla difesa della fede e favorire lo studio
delle humane littere. Dagli statuti del 1437 risulta che il collegio
era dotato di una biblioteca, nella quale i libri erano incatenati ai
banchi per impedirne il furto, e di una cappella, dedicata a
Sant’Agostino.
Una
cappella esisteva già, quindi, al tempo del fondatore; quella che
vediamo attualmente è legata all'iniziativa del suo nipote e omonimo,
Branda Castiglioni (1415-1487) vescovo di Como, figura di primo piano
alla corte di sforzesca. Come il suo parente, anche Branda aveva un
certo gusto per la pittura d’Oltralpe: nel 1476, di ritorno da un
viaggio a Ginevra, portava con se un pittore, lohannes de Sapientibus
(alias Hans Witz, poi pittore di corte di Bona di Savoia). Al suo
intervento si devono infatti la decorazione della cappella con
spalliere in legno intagliato, con il suo stemma, una iscrizione e la
data 1473, e gli affreschi, datati 1475 nel cartiglio al centro della
parete Nord.
La
semplice struttura a pianta quadrata, coperta da una volta a crociera, è
dilatata dall'architettura dipinta con coppie di lesene con marmi
policromi e un capitello corinzio che si raccorda alla mensola che
raccoglie i costoloni della volta. La parete Nord è divisa in due da un
cornicione, che inquadra in alto la Resurrezione e, sotto,
l’Annunciazione. Le altre pareti ospitavano un ciclo dedicato alla vita
della Vergine: a Ovest la Natività, a Sud l’Adorazione dei Magi, a Est
l’Assunzione. La bella volta a crociera è dipinta in rosso con tondi
dai quali si affacciano i simboli degli Evangelisti, incorniciati da
ricchi festoni di verzura con melograni, il frutto che simboleggia la
Chiesa, ma anche il nutrimento spirituale offerto dalla conoscenza.
La
Resurrezione è forse l’episodio meglio conservato di tutto il ciclo:
Cristo, sospeso nell’aria sopra il sarcofago vuoto, una soluzione
iconografica di matrice toscana introdotta in Lombardia negli anni
settanta del Quattrocento dall’ingegnere ducale Benedetto Ferrini.
Attorno, le guardie atterrite. Ma forse il dettaglio più bello è quel
paesaggio illuminato dalla luce dell’alba che si apre sullo sfondo, con
quel lago sulle cui sponde si affaccia una città nordica che forse
doveva ricordare al vescovo le sue missioni all’estero.
E’
perduta la parte centrale dell’Annunciazione, che forse rappresentava
il giardino chiuso, simbolo della Vergine nelle Litanie lauretane,
mentre dell’Angelo restano solo frammenti. Maria, raffinata fanciulla
che indossa abiti alla moda ricamati con perle e porta i lunghi capelli
sciolti, intenta alle sue orazioni quotidiane, all’arrivo dell’Angelo
inarca la schiena e socchiude la bocca, stupita e spaventata. Il vago
rossore sulle guance e il gonfiore della veste, sotto il corsetto
stretto alludono al compiersi del mistero dell’incarnazione. Dietro di
lei, l’interno domestico della casa di Nazareth diventa
nell’immaginazione del pittore, una solenne architettura all’antica
decorata con marmi policromi, frutto dell’ossessione archeologica che
invade la Lombardia negli anni Settanta. Ma questa atmosfera si
stempera nei dettagli quotidiani: la sottile lanterna in bronzo dorato
appesa alla colonna, il cestino con i panni, il leggio.
Poco
si può dire, purtroppo, delle restanti tre scene: la Natività ci
restituisce solo una bella immagine di Giuseppe, assopito, frammenti
dell’asino e del bue, e l’annuncio ai pastori con un bell’angelo dalle
vesti cangianti. Assistono alla scena due personaggi, ritratti di
profilo a sinistra: era comune che negli episodi affrescati fossero
inseriti personaggi contemporanei.
L’Adorazione
dei Magi restituisce l’immagine di un uomo anziano, dal volto segnato,
che si accosta al Bambino, e dietro di lui, tra montagne da presepio
fatte di rocce scheggiate, si snoda un corteo che sale in verticale
sulla parete. Infine, restano solo frammenti dell’Assunzione, con
quell’immagine di Dio Padre in vesti scure che accoglie la Vergine,
perduta, che sale al cielo, mentre gli Apostoli, in basso, guardano
stupiti il prodigio che si compie.
Ma
chi è l’autore degli affreschi? Su questo punto i documenti tacciono;
l'iscrizione al centro della parete Nord restituisce solo la data,
1475, e il nome del committente.
Qualche
cosa si può dire, però. Innanzitutto, che si tratta non di un pittore,
ma di un gruppo di pittori, ciascuno dei quali interviene in una scena
diversa. Nel 1475 quattro pittori - Bonifacio Bembo e Giacomino
Vismara, Costantino da Vaprio e Zanetto Bugatto - collaboratori di
Vincenzo Foppa, prendono in affitto una casa vicina al collegio. Non è
certo che questo ciclo possa essere loro riferito, ma senz’altro i
maestri che lavorano nella cappella sono tra i più aggiornati sulle
vicende figurative del ducato sforzesco a metà anni Settanta, aperti
alla circolazione di motivi fiamminghi e della cultura ferrarese.
Il risultato è un ciclo complesso e affascinante, sul quale sono ancora in corso ricerche approfondite.
Marco Albertario
L'Aquila ( S. Giovanni )
L'Angelo ( S. Matteo )
Il Toro ( S. Luca )
Il Leone ( S. Marco )